Solennità di Tutti i Santi, 1 nov 2020 (Mt 5,1-12a)

 

Ave Maria!

La solennità di Tutti i Santi, nella vita della liturgia, avvicina cielo e terra molto di più di quanto non avvenga, normalmente, nel resto della liturgia. Con l’Apostolo Giovanni nell’isola di Patmos e con la moltitudine di santi e sante, conosciuti e sconosciuti, siamo invitati, in spirito, a raccoglierci intorno all’Agnello per celebrare le misericordie del Signore (Ap 7, 2), mentre il brano evangelico delle Beatitudini stabilisce questa lode proprio nei due livelli della terra e del cielo. In questa prossimità così bella e suggestiva tra la terra e il cielo, come non pensare, in questo VII Centenario della morte di Dante, alla sua Divina Commedia e allo sforzo del grande poeta fiorentino di testimoniare proprio quanto cielo e terra siano intimamente congiunti e inseparabili?
Così il brano evangelico delle Beatitudini, è composto da nove versetti, in cui viene descritta la situazione provvisoria dei discepoli di Gesù sulla terra, da una parte, e dall’altra, quella che corrisponde al Regno di Dio che li attende: “ Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli…Beati i miti perché avranno in eredità la terra” e così via fino alla fine. Poste all’inizio del discorso della montagna, come ben sappiamo, e con il quale Gesù inaugura, -dopo trent’anni di silenzio a Nazaret -, il suo ministero pubblico, le Beatitudini sono state sempre riconosciute come il perno del suo messaggio. Ma, dopo tutto, cosa vi si dice esattamente? Si potrebbe pensare, infatti, che qui si tratti di una specie di programma di azione, oggi diremmo di strategia pastorale, oppure di un programma tendente a far contento Dio, ma per averne favori e protezioni. E forse anche molti degli ascoltatori di Gesù si aspettavano qualcosa di simile, allorché già qualcuno gli domandava: “Maestro, che cosa devo fare per ottenere la vita eterna?” (Mt 19,16).

Tuttavia, a ben vedere, non hanno nulla a che fare con istanze religiose, per così dire a “buon rendere” da parte di Dio. Non costituiscono nemmeno un programma di perfezione, anche se le troviamo spesso nella liturgia di santi e sante del nostro calendario liturgico. In effetti, farsi povero in spirito, piangere, avere fame e sete, essere insultato e perseguitato, non sono priorità nell’azione, quasi fossero un programma moralistico e che compete a noi esercitare per essere graditi a Dio. Gesù adotta un genere letterario completamente diverso e molto più impegnativo della semplice “appartenenza” al suo discepolato. Gesù non esorta, non prescrive, non comanda, ma proclama alcuni “beati”. Svela e annuncia una certa qualità della sua gioia, di quella gioia che Lui per primo vive nell’amare il Padre e nella radicalità di quest’amore! E’ un rendimento di grazie, quello delle Beatitudini, in tutto simile a quello che il credente o il discepolo può sperimentare nella preghiera: non è sempre necessario chiedere qualcosa a Dio, talvolta è sufficiente rendere grazie in anticipo, come se la grazia fosse già stata ricevuta (Mc 11,24), perché riposiamo nella fiducia che Dio stesso ci ispira.

Allo stesso modo, qui Gesù ci dà dei comandamenti nuovi a nome di Dio, ma proclama che certe situazioni particolari già preannunciano e lasciano intravedere, nell’oggi della terra, quale sarà la beatitudine di domani. Infatti, la maggior parte di queste situazioni non dipende dalla nostra volontà, non sono a nostra disposizione o alla nostra portata, e dunque impossibile sforzarsi, in modo volontaristico, di crearle! Ad esempio, in quale modo e a che titolo provocare persecuzioni delle quali essere vittima o diffondere malignità sul nostro conto? No, non ci viene richiesto tutto questo. E comunque tutto questo ci è promesso, quale possibilità concreta della nostra fedeltà a Dio. Anzi, è ciò che ci accadrà puntualmente non appena cercheremo di comportarci, anche in minima parte, da veri discepoli di Gesù.
Gesù stesso ce lo annuncia, ma come una grazia che ci verrà fatta: un giorno dovremo imparare a piangere, a sopportare la miseria e le calunnie, a portare la nostra croce seguendo proprio Lui. Ma proprio perseverando nel vivere queste beatitudini tutte esteriori, quelle interiori nasceranno spontaneamente nel nostro cuore e senza che noi ce ne accorgiamo. Perseverando nella fede, lentamente diventeremo semplici e puri, fonte inesauribile di dolcezza, di pace, di riconciliazione, di tenerezza, anche per coloro che ci hanno perseguitati e calunniati. Una promessa utopistica, irrealizzabile per noi, quella di Gesù? La fede vera, che è tutt’altra cosa dalla semplice “appartenenza” ad una generica credenza in Dio, ci dice a lettere chiare che quello che è impossibile a noi è possibile a Dio: “Rallegratevi ed esultate perché grande è la vostra ricompensa nei cieli”. E’ la gioia già presente in coloro che ci hanno proceduto in questo cammino verso il “possibile di Dio” e dei quali oggi celebriamo la festa. E può essere la mostra gioia personale, già fin d’ora, se crediamo con tutte le nostre forze all’impossibile di Dio, come hanno sperimentato i santi e le sante che hanno accolto ogni prova della loro vita di fede con la fiducia e la radicalità dell’amore con gratitudine umile e fedele.

Di fatto, gli uomini preferiscono vedere ciò che alimenta la loro fantasticheria di onnipotenza e di immortalità, mentre il punto di vista del Vangelo propone loro di perdere il loro io al fine di guadagnare il loro sé, la loro anima più profonda e più vera: “Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà”. Essere cristiani, allora, significa imparare a “vivere bene” seguendo la via aperta da Gesù. E le Beatitudini sono il nucleo più significativo e “scandaloso” di questa “via”. Verso la felicità del Regno di Dio si cammina con cuore semplice e trasparente, con fame e sete della giustizia di Dio, operando per la pace con indole di misericordia, sopportando il peso del cammino con mansuetudine e fiducia in Dio. Così la “via” disegnata dalle Beatitudini porta a conoscere già su questa terra non solo la felicità vissuta e sperimentata dallo stesso Gesù, ma anche quella che ci indicano i nostri fratelli e sorelle che ora vivono nella Casa del Padre. Amen.

 


don Carmelo Mezzasalma
San Leolino, 31 ottobre 2020

   

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